Descrizione
«Io ho vissuto per circa quindici anni con un’idea-simbolo del mio periodo sacilese, ben esatta, individuata e pura, che si frantuma e articola poi in una infinità di altri simboli quando io mi soffermi, quasi a ripassare la mia vita».
Così un giovane Pasolini ricordava i soggiorni sacilesi nei suoi quadernetti del 1949 – editi postumi nel 1994 – lasciandovi intendere un trascorso umano che andava oltre la vocazione letteraria («qui ho scritto le mie prime poesie») o la rivelazione dell’amore («quasi mostruoso») per la madre, per lasciare posto a «una infinità di altri simboli» a dare valore e significato all’evolversi della sua vita intellettuale.
Ed è lo stesso il giovane Pasolini a fornircene la ricerca dentro quei quadernetti pieni di sublimi racconti di vita sacilese – qui in parte raccolti in un fiorire di immagini e sensazioni – che figurano sicuramente tra le più belle pagine dello scrittore. Un’infinità di simboli che servono «quasi a ripassare» (forse meglio a riconsiderare) la sua vita, se non addirittura a ricomporre la sua personalità artistica tuttora ristretta, per certa critica, al solo periodo romano.
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